mercoledì 29 ottobre 2008

La battaglia di Legambiente per il CLIMA


Il governo Berlusconi ha deciso per un ritorno del nucleare nel nostro Paese, con un obiettivo dichiarato di produrre il 25% dell’energia elettrica dall’atomo. Per promuovere questa decisione ha inaugurato da qualche mese una campagna di disinformazione sulle presunte opportunità che questa scelta garantirebbe al nostro Paese. Col nucleare, secondo l’Esecutivo, l’Italia rispetterà l’accordo europeo 20-20-20 per la lotta ai cambiamenti climatici (secondo cui entro il 2020 tutti i Paesi membri devono ridurre del 20% le emissioni di CO2 del 1990, aumentare al 20% il contributo delle rinnovabili al fabbisogno energetico, ridurre del 20% i consumi energetici), ridurrà il costo dell’energia e le importazioni, grazie a delle non meglio identificate centrali di “nuova” generazione, descritte come sicure, pulite e tecnologicamente avanzate.

Se l’Italia decidesse di puntare sul nucleare, causa le ingentissime risorse necessarie per sostenere questa avventura, abbandonerebbe qualsiasi investimento per lo sviluppo delle rinnovabili e per il miglioramento dell’efficienza, che sono invece le soluzioni più immediate ed efficaci per recuperare i ritardi rispetto agli accordi internazionali sulla lotta ai cambiamenti climatici, e rinuncerebbe alla costruzione di quel sistema imprenditoriale innovativo e diffuso in grado di competere sul mercato globale, che ad esempio in Germania occupa ormai 250.000 lavoratori.

Legambiente lancia una grande mobilitazione nazionale, fatta di tante iniziative, da organizzare insieme ad una ampia alleanza di sigle associative, ambientaliste e non, con l’obiettivo di rispondere alle bugie del governo e dei nuclearisti, ristabilire la verità sulla dannosità del nucleare e la sua inutilità per il raggiungimento del 20-20-20, alimentare il dibattito a livello territoriale sui due scenari energetici alternativi futuri che devono comprendere (secondo il governo) o meno (secondo noi) la produzione di elettricità dall’atomo.

Con la nostra mobilitazione non ci limiteremo a spiegare i motivi della nostra opposizione all’atomo, ma rilanceremo la nostra idea di modello energetico, fondato su politiche di efficienza e sviluppo delle rinnovabili e sul gas come fonte fossile di transizione. Senza il quale l’Italia resterebbe fuori da quel percorso di modernizzazione già intrapreso con successo da altri Paesi, come la Germania e la Spagna, che grazie ad una strategia energetica innovativa usciranno nei prossimi anni dall’era nucleare. Perché solo con una seria politica nazionale e locale, che promuova l’innovazione e renda più efficiente e sostenibile il modo con cui produciamo l’elettricità e il calore, si muovono le persone e le merci, consumiamo energia negli edifici e produciamo beni, l’Italia riuscirà a dare il suo vero contributo alla lotta ai cambiamenti climatici, rispettando la scadenza del 2020 dell’accordo comunitario 20-20-20.

Una vergogna tutta ITALIANA

Intervista alla Minstra Prestigiacomo in merito alla posizione italiana nei confronti dell'ambiente e delle misure europee di lotta ai cambiamenti climatici.
Fonte: Famiglia Cristiana

POLITICA
IL MINISTRO PRESTIGIACOMO SPIEGA LA POSIZIONE ITALIANA

LA BATTAGLIA DELL’AMBIENTE
È una questione ideologica: «Non si può sempre dire sì alla lobby "verde"». E c'è dell'altro: «Il pacchetto europeo ci penalizza. E senza l'ok di Usa e Cina non cambierà nulla».

«Il nostro Paese ha assunto una posizione che ritengo coraggiosa. Ha deciso di infrangere quel cliché secondo il quale bisognava sempre e comunque dire di sì a scelte dettate dalla forte lobby "verde" europea».

Non demorde il ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo in questa sua battaglia contro le decisioni europee, sola contro tutti seppure da ultimo confortata da pareri inaspettati di scienziati come Franco Prodi, fratello dell’ex presidente del Consiglio: «Se si fosse parlato di contenuti in discussione, sarebbe emerso chiaramente che la questione non era l’impegno per il clima, ma specifiche condizioni di vantaggio o di svantaggio per i singoli Paesi. Io credo che stiamo conducendo una battaglia culturale. Stiamo cioè mettendo in discussione che sia titolata a parlare di ambiente solo un’area politica ideologizzata. Noi pensiamo, invece, che l’ambiente sia di tutti e che non vi siano "guru" infallibili. Intendiamo discutere, pretendiamo spiegazioni chiare e trasparenti. Difendiamo, nell’ambito dell’impegno internazionale che condividiamo, le ragioni e gli interessi dell’Italia».

* È utile allargare il campo della polemica a questioni politico-ideologiche?
«In una recente conferenza internazionale ho sentito autorevoli delegati che plaudivano alla drammatica crisi economica internazionale, perché col tracollo delle imprese e della produzione ci sarebbero state meno emissioni!».

* Dicono che senza americani e cinesi la lotta solitaria della Ue sarà inutile...
«Noi ripetiamo da mesi, anche se ad alcuni sembra un’eresia, che lo sforzo europeo ha senso se sarà inserito in un impegno globale nell’ambito del quale assumano analoghi impegni i grandi Paesi inquinatori come Usa, Cina e India. E ripetiamo anche che in mancanza di tale impegno non si avrà alcun effetto sul clima (perché Usa e Cina da soli compenserebbero abbondantemente le riduzioni di emissioni europee) e i costi che caricheremmo sul nostro sistema economico renderebbero le nostre produzioni meno competitive rispetto a quelle di Paesi che inquinano di più e che non accettano i tagli dei gas serra. La tendenza in questo campo a fare dichiarazioni di principio, senza calcolare le conseguenze, è forte. Il precedente Governo, per esempio, ha accettato il pacchetto clima-energia per il periodo 2013-2020 senza avere un’idea dei costi, e in una situazione in cui l’Italia era già lontana dal raggiungere gli obiettivi di Kyoto per gli anni 2008-2012. Però sono andati tutti in Tv e sui giornali a dire che loro volevano salvare il Pianeta».

* Lei ha ottenuto l’apertura di un tavolo tecnico. Quali sono i nodi centrali?
«Ridotte all’osso, le questioni in campo sono due, connesse fra loro. Quella dei costi del pacchetto sui quali in due anni non è stata data alcuna informazione dalla Ue. Quando finalmente in settembre sono usciti i numeri di uno studio della Commissione, e noi abbiamo rilevato costi elevatissimi, ci hanno detto che i loro numeri non erano veri. C’è poi il nodo dell’equità perché, come ha ribadito Berlusconi, se l’Europa vuol fare il "Don Chisciotte" del clima, lo faccia quantomeno ripartendo equamente i costi di questa battaglia fra i suoi membri e non penalizzandone alcuni, come l’Italia, avvantaggiandone altri».

* Perché ci siamo ridotti all’ultimo momento, quando tutta l’Europa sta ormai chiudendo l’accordo?
«Il fatto è che una trattativa vera non c’è mai stata, sono stati assunti impegni a scatola chiusa. C’è voluta tutta la determinazione del nostro Governo perché si entrasse nel merito dei problemi. Finalmente venerdì scorso la delegazione tecnica della Commissione ha ammesso che il rapporto costi/Pil per l’Italia è superiore del 40 per cento rispetto alla media europea e comunque superiore a quello francese, tedesco, inglese e spagnolo. Insomma, il vero negoziato è cominciato solo adesso».

* Si è parlato anche di furbetti dei vicini quartieri, per esempio i tedeschi, che sarebbero avvantaggiati...
«Anche i tedeschi hanno i loro problemi e hanno espresso con decisione la loro richiesta di proteggere settori industriali che sono a rischio di delocalizzazione. Ma, in generale, credo che in passato ci siano stati Governi che hanno saputo orientare la definizione delle direttive verso soluzioni meno gravose per le loro economie. Mentre il Governo Prodi non ha fatto nulla per evitare condizioni pesantissime per il nostro Paese. Ma stiamo rimediando».
Guglielmo Nardocci